Dopo la Seconda Guerra Mondiale, una profonda crisi distrusse la fiducia nell’arte e nei suoi linguaggi. Non solo la bellezza della forma sembrava lontana e inutile, ma anche le esperienze delle avanguardie apparivano ormai superate. Iniziò così una profonda ricerca da parte degli artisti di nuove strade per esprimersi, diverse da quelle precedenti e caratterizzate dal rapporto unico, speciale, del pittore con la sua opera. Tale percorso, fu condiviso anche dagli scrittori e dagli intellettuali della corrente dell’esistenzialismo europeo, che contribuì anch’essa alla nascita di uno dei principali movimenti artistici del dopoguerra: l’Informale.
L’Informale non si è mai definito in maniera chiara, diversamente di come avvenne per quei movimenti che si costituirono intorno alle intenzioni espresse in un manifesto. Al contrario, in tutto ciò che provava a declinare questo termine, non si sono riconosciuti nemmeno i suoi più importanti esponenti e, colui che ne è stato il più autorevole teorico, Tapié, quando l‘Informel assunse connotazioni troppo accademiche, ne prese immediatamente le distanze.
La difficoltà nell’affrontare il fenomeno dell’Informale, è riconducibile alla complessità che si incontra nel determinare un denominatore comune tra le tante posizioni, siano esse individuali o collettive, espresse nelle ricerche gestuali e materiche degli anni Cinquanta.
Tuttavia, è possibile ricondurre nel perimetro Informale le tante sperimentazioni, già anticipate da pochi visionari negli anni Trenta, che presero consistenza in America ed in Francia negli anni Quaranta e che trovarono una felice continuazione in Italia negli anni Cinquanta. Le esperienze americane e francesi, infatti, permearono le atmosfere creative italiane nel secondo dopoguerra, offrendo importanti e significativi spunti a quegli artisti alla ricerca di nuove vie di sperimentazione e di ripartenza.
Il razionalismo italiano, infatti, radicatosi nei decenni precedenti come propagandismo monumentale di regime, doveva essere estirpato per lasciar spazio a nuovi concetti, anche artistici, che tenessero in considerazione l’uomo e le sue complessità, le evoluzioni tecnologiche e scientifiche e soprattutto la determinazione nel non ricadere nuovamente in schemi tanto devastanti come quelli che avevano portato alla debacle della Seconda Guerra Mondiale.
La corrente Informale in Italia, quindi, approda nel nostro paese non prima della metà degli anni Cinquanta, anche se le prime avvisaglie si ebbero alla fine del decennio precedente (1948) quando a Bologna, in occasione della prima mostra Nazionale d’Arte Contemporanea, avvenne una una vera e propria scissione tra realisti e astrattisti.
Da lì le strade si divisero nettamente, prendendo connotazioni specifiche: da una parte rimasero i Guttusiani, che mantennero una loro figurazione di stampo realista con sofisticate declinazioni post cubiste ma con iconografie populiste, dall’altra, invece, si sviluppò un clima di confronto creativo di raro spessore. Gruppi come Origine, Forma 1, il Gruppo degli Otto e movimenti come lo Spazialismo e l’arte Nucleare, caratterizzando uno dei momenti più fervidi della nostra storia dell’arte, furono i bacini dove attinse a piene mani la poetica dell’Informale italiano che offrì una alternativa allo stallo che si era venuto a creare dopo che l’euforia per le posizioni dell’astrattismo iniziarono a scemare.