Con il termine Informale si definisce quell’insieme di esperienze artistiche, sviluppatesi in Europa, America e in parte in Oriente, le aree coinvolte nel secondo conflitto mondiale, dagli anni Quaranta fino allo sbarco dell’uomo sulla Luna.
La stagione Informale vide attiva una poliedricità di artisti con un’azione culturale che non trovò subito comprensione critica, istituzionale o collezionistica. I maestri del periodo eroico vissero un doppio dramma: la solitudine interiore e l’incomprensione di una società industrializzata ed alienante. Spesso anche la povertà. Sostegno al movimento venne solo da gallerie private e galleristi illuminati.
Il termine fu coniato negli anni ’50 dal critico francese Tapié per indicare la tendenza verso un nuovo modo di creare e pensare le immagini, senza far ricorso a quelle strutture e suggestioni usate dai movimenti artistici precedenti. Un’approccio espressivo, quindi, diverso e necessariamente lontano dai canoni razionali e tradizionali e il cui terreno tuttavia era stato preparato da importanti esponenti di alcune delle principali correnti artistiche del Novecento, che in tal senso avevano orientato il gusto pittorico (Duchamp, Kandinskij, Mondrian ed Albers).
Dopo la morte di milioni di persone, a causa della Seconda Guerra Mondiale, e lo scoppio della bomba atomica, grande fu l’angoscia per la malvagità, come grande fu la paura per la scomparsa della civiltà. Gli artisti più sensibili si resero conto che le categorie espressive tradizionali basate sulla forma, sul figurativo, non avevano più senso e per poter ancora esternare il naturale bisogno di creatività, avrebbero dovuto rifondare l’etica e l’estetica su basi totalmente inedite.
La forma, intesa come realizzazione del pensiero, non aveva più ragione di essere e per l’artista l’unica possibilità di esistenza, di risposta alla ”nausea“ esistenziale, era la categorica sperimentazione di nuove espressioni per costruire una nuova forma di creatività ed una nuova umanità, meno alienata e più vera.
La negazione della forma era già un concetto presente nell’astrattismo. Tuttavia, i protagonisti di tale avanguardia pur ritraendo gli oggetti senza rispettarne sembianze e colori e pur attingendo alla sola immaginazione quale strumento espressivo, mantenevano pur sempre un primordiale legame con la forma, dettato dalla geometria e dal rigore matematico. L’arte astratta, soprattutto nelle sue correnti più geometriche, si costituì per organizzazione di forme.
L’informale, invece, rifiutando il concetto di forma, si differenziò anche dalla stessa arte astratta, costituendone al contempo un ampliamento. Questo ampliamento non fu da intendersi solo come possibilità di creare nuove immagini, ma anche e soprattutto come allargamento del concetto stesso di creatività. L’Informale è pertanto da considerarsi una matrice fondamentale di tutta l’esperienza artistica contemporanea.
Gli artisti riconducibili all’Informale, diedero così origine a opere caratterizzate da libere pennellate e densi strati di colore, segni e metodi all’insegna dell’improvvisazione, in modo che l’evento artistico, svuotato da qualsiasi residuo valore formale, si esaurisse con l’atto stesso della sua creazione.
La gestualità insita nel tracciare il segno, nello stendere il colore, nell’incidere, graffiare, tagliare, ferire o bucare la materia, non rispondeva quindi ad una volontà dell’artista di rappresentare alcunché, ma era l’opera che voleva essere “altro” dalla realtà che la circondava, voleva essere realtà indipendente essa stessa, testimone del fare e dell’essere dell’artista.
La materia appariva quale entità completamente autonoma, oggetto-soggetto di un’arte autosufficiente che eliminava qualsiasi rappresentazione di sé stessa in tutte le sue caratteristiche di fisicità spazio-temporale.
L’Informale fu caratterizzata, oltre che dal rifiuto per qualsiasi forma figurativa o astratta, anche dal non essere una corrente artistica monolitica, tante furono infatti le sue variabili poetiche-morfologiche.
Oggi si tende a individuare, nell’ambito dell’Informale, due correnti principali: l’Informale gestuale e l’Informale materico.
La prima, definita anche Action Painting, si originò negli Stati Uniti e coincise di fatto con l’Espressionismo astratto, la seconda, a cui aderì Piero Raspi, fu la tendenza che maggiormente si manifestò in Europa. Con essa gli artisti si appropriano della problematica del contrasto o prevalenza della materia sulla forma. Protagonista di questa corrente era la possibilità di ricorrere a elementi che emergessero dalla superficie della tela, oltre all’uso di materiali “poveri” (legni bruciati, vecchi sacchi di juta, lamiere, plastica, sabbia, catrame).
In tal modo si venne a rompere il confine tra immagine bidimensionale e immagine plastica, proponendo opere che non erano più classificabili nelle tradizionali categorie di pittura o scultura.
La materia si trovava quindi in primo piano: un sacco, un rottame d’acciaio, una scheggia di legno, altro non erano che altrettanti “atti artistici”.
In questo senso l’Informale allargò il campo della creatività praticamente all’infinito. Tutto poteva diventare arte, così come era possibile che nulla effettivamente lo fosse.